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Quando l’azzardo è chiamarlo… gioco!

o le slot machine di Las Vegas. I casinò erano una realtà tutto sommato non molto apprezzata a livello sociale e le bische clandestine, nell’immaginario collettivo, luoghi poco raccomandabili. Vi era una sorta di pudore sociale nei confronti del cosiddetto “gioco d’azzardo”.

I tempi sono cambiati e la realtà delle nostre comunità con essi. Nessuno si stupisce più nel vedere le slot machine elettroniche nei bar, nei tabacchini o nei centri commerciali.

Anni fa si giocava al Lotto, al Totocalcio e all’Enalotto. Il Totip, le corse di cavalli, e altri giochi rappresentavano una realtà marginale. Oggi la disponibilità di “scommettere su qualcosa” è praticamente illimitata. I pulsanti delle macchine elettroniche non hanno quasi sosta: il gioco d’azzardo tecnologico nei bar ha moltissimi sostenitori.

Si sono così evolute due schiere distinte, ma parallele, di giochi d’azzardo: quelli cartacei (Superenalotto, Gratta e Vinci, Win for Life e tanti altri) e quelli “tecnologici”, macchine con uno schermo e alcuni pulsanti su cui è facile vedere alienarsi (non richiedono spesso nessuna capacità se non quella di premere i pulsanti) persone di età molto diversa, sia di sesso maschile che femminile, tanto professionisti quanto casalinghe. Grattare con una monetina le tesserine degli innumerevoli “Gratta e Vinci” è ormai una visione comunissima nella maggior parte degli esercizi commerciali. E sono sempre più diffusi anche i relativi distributori automatici a cui tutti possono accedere, giovanissimi compresi.

Tale diffusione, su tutto il territorio nazionale, del gioco d’azzardo sembra estranea ai rischi che comporta. I pericoli vengono sottaciuti se non snobbati, eppure si tratta di pericoli per la salute, che incidono sull’equilibrio psicofisico della persona in modo talvolta molto grave.

ll prezzo sociale che lo Stato dovrà probabilmente pagare per tale, a mio parere, irresponsabile diffusione dei giochi d’azzardo sarà molto alto. Perché i costi che la dipendenza produce sono sia diretti (sulle strutture sanitarie che si occupano di dipendenze e salute mentale) che indiretti dal momento che il malessere sociale diffuso contribuisce alle difficoltà di crescita ed evoluzione responsabile delle comunità.

Questo articolo si occupa del mondo del gioco d’azzardo legale, del tipo di pensiero che potrebbe sostenere la pervicace volontà del giocatore di buttare via i propri soldi, della dipendenza da gioco. Al suo interno si trova l’estratto di una ricerca condotta a Cagliari due anni fa a proposito di questa allarmante tematica.

Quante probabilità ci sono di fare sei al Superenalotto? 1 su 622 milioni. E di fare cinque? Meno di 1 su oltre un milione di giocate. Di fare 4 una su quasi 12.000.

Il nostro pianeta ha una circonferenza, all’equatore, di circa 12.756 Km. Immaginiamo di possedere tante monete da venti centesimi quante sono le probabilità di fare 6 al Superenalotto, ovvero 622 milioni di monete. Ora supponiamo di disporle una accanto all’altra lungo la linea dell’equatore. In questo modo, dato che le monete in questione hanno un diametro di 2 centimetri, completeremmo l’intera circonferenza terrestre.

Una sola di queste monete rappresenterebbe la probabilità di vincere il “sei”. Ipotizziamo di aver fatto un piccolo segno sulla moneta vincente, ma di non sapere dove l’abbiamo messa. Quanto scommetteremo sulla possibilità di ritrovarla?

Il discorso cambierebbe se la posta in palio fosse rappresentata da diversi milioni di euro. A quel punto potremmo pensare che potrebbe valere la pena tentare un controllo completo. Impiegando due secondi per ogni monetina concluderemmo la ricerca in circa 40 anni, lavorando 24 ore su 24, senza mai fermarci neanche per un istante.

Un altro esempio rimanendo in termini di misure. Pensiamo a una scala con due gradini: il primo alto un centimetro, rappresenterebbe la grandezza della nostra probabilità di successo, di agguantare il fatidico “sei”. Il secondo, cioè la probabilità di non centrare il “sei”, sarebbe alto più di 6.220 km. Un gradino che si perderebbe ben al di là dell’atmosfera terrestre. Un gradino talmente alto che sarebbe impossibile vederne la sommità.

Tutto questo potrebbe dissuadere chiunque dal tentare la fortuna di fronte a tanta probabilità di insuccesso.

Ma le cose vanno diversamente. La percezione della disparità tra possibilità di vincita e possibilità di non vincita viene annullata, in moltissimi casi in modo anche grave, da un pensiero fantastico molto lontano dalla realtà. La speranza prende il sopravvento sulla ragione. Anche se forse più che di speranza si dovrebbe parlare di “pensiero magico”. Tale tipo di pensiero, in età adulta, si può definire come uno sconfinamento del mondo irrazionale in quello razionale, dovuto alla ricerca di un appagamento, una soddisfazione praticamente impossibile.

In principio tutto era… fantastico!

Il confine tra mondo fantastico, tipico dell’infanzia, e mondo reale si consolida con la maturazione di una persona. Tuttavia, chiunque mantiene “frequentazioni” più o meno evidenti col proprio mondo del fantastico, cosa questa tutt’altro che negativa e, addirittura, fonte di guadagno per chi di professione vende la propria creatività ad esempio a registi o editori.

Qualche problema può sorgere quando non si ha la consapevolezza degli sconfinamenti nel mondo del fantastico come nel caso del gioco d’azzardo. A quanti è capitato di passare davanti a una ricevitoria e di sentire che poteva essere la volta buona, il giorno fortunato? Certo, per qualcuno è stato così, un giorno ha giocato e vinto. Immaginiamo lo stadio Olimpico di Roma, pieno, e moltiplichiamolo 8.500 volte: un giorno una sola persona (tra oltre 622 milioni) ha vinto!

Fantastico… sino a un certo punto

C’è un problema di “percezione del rischio” rispetto al gioco d’azzardo (non solo Superenalotto ma Gratta e Vinci, Win for Life, Video Poker, Slot Machine e così via) alimentato, probabilmente, dal fatto che le proposte pubblicitarie esaltano gli aspetti positivi della vincita tralasciando del tutto quelli negativi. Di recente, al termine di tali pubblicità seguono frasi del tipo “gioca responsabile” oppure “gioca con moderazione”. Come dire: sii responsabile (per non correre dei rischi). Ma qual è il rischio non dichiarato? Sviluppare una dipendenza da gioco.

La dipendenza rappresenta una problematica che può sconvolgere la vita di una persona. Nel gioco, dal punto di vista comportamentale, è analoga a quella dovuta a sostanze stupefacenti, alcol compreso. Poco importano pensieri del tipo “smetto quando voglio” oppure “so controllarmi”: la dipendenza si misura, in un certo senso, non da quello che pensiamo ma da quello che facciamo. Tutte le persone che hanno sviluppato una dipendenza, prima di cadere in questo terribile problema, pensavano che la cosa non le riguardasse. Non sapevano che la dipendenza rappresenta una vulnerabilità a cui è esposta, in misura variabile, qualunque persona.

Si tratta di un aspetto connaturato a molte specie animali, compreso l’uomo: può giocare un ruolo importante in molte fasi della vita sostenendo i legami e favorendo l’aggregazione. Rappresenta un aspetto che forse ha giocato un ruolo evoluzionistico fondamentale, anche se rimane il più delle volte latente nella vita psichica di una persona adulta.

Per questo, senza una adeguata percezione del rischio, è molto facile che venga “riattivata”. Può essere sufficiente una ricompensa, una gratificazione di vario genere.

Il resto, quando il “pensiero magico” non trova opposizione nella realtà, scatta in modo automatico. In altre parole: la dipendenza potrebbe trovare un terreno fertile proprio nel campo della fantasia, nel desiderio di un appagamento desiderato magari inconsapevolmente, nella non valutazione della realtà. Una volta instauratasi, la dipendenza, diviene estremamente difficile da controllare. E’ per questo motivo che tante persone si rovinano col gioco: pur consapevoli della illogicità delle loro azioni non riescono a modificarle.

La percezione del pericolo, durante tutta la vita, è molto importante: presentare una situazione come positiva o priva di rischi quando non lo è porta la persona a non organizzare le proprie difese, a non prendere adeguate contromisure.

In una recente ricerca, svolta a Cagliari, abbiamo valutato se la percezione del rischio cambi con l’avanzare dell’età e se differisca tra femmine e maschi. Abbiamo, inoltre, sottoposto il test SOGS (South Oaks Gambling Screen) a un campione di persone abituali fruitrici dei comuni giochi d’azzardo acquistabili o utilizzabili, nel caso di gioco tecnologico, in quasi tutti i bar, tabacchini, centri commerciali delle nostre città.

Il SOGS permette di valutare se una persona si sta avvicinando alla soglia di “dipendenza patologica” consentendo, inoltre, di sapere se la persona ha pensieri suicidari rispetto alla sua condizione di vita.

Il campione degli adolescenti era composto da 99 ragazzi e 86 ragazze con un’età media di 14 anni. Gli adulti a cui è stato sottoposto il SOGS (e alcune scale dei questionari proposti ai ragazzi), sono stati 76, con età media di 32 anni.

C’è differenza tra adolescenti maschi e femmine nella percezione del gioco d’azzardo?

I ragazzi, rispetto alle ragazze, esprimono una maggiore consapevolezza rispetto al fatto che col gioco si possano perdere dei soldi. Come si vede dai grafici la differenza è abbastanza netta.

L’ipotesi che appare più probabile è che questi sperimentino prima delle ragazze tale realtà. Le adolescenti sembra abbiano una visione un po’ “fantastica” soprattutto rispetto alla possibilità di diventare ricchi: solo una non contempla tale evento (naturalmente non si può escludere la probabilità, seppur remota, di diventare ricchi col gioco d’azzardo, ma bisogna considerare il fatto che è molto più probabile il contrario).

La risposta più realistica da parte dei ragazzi avvalora l’ipotesi che abbiano “toccato con mano” il gioco d’azzardo. Se quindi da una parte le ragazze, con le loro risposte “ingenue”, fanno pensare di essere più distanti da tale tipo di gioco, per i ragazzi potrebbe essere l’inverso: a soli 14 anni molti di loro hanno già avuto questa esperienza, mostrando di essere a rischio ad una età inferiore rispetto alle ragazze.

Dall’analisi dei dati risulta che il gioco tecnologico pare venga considerato un passatempo piacevole e divertente più per i ragazzi che per le ragazze. Si conferma una visione leggermente più realistica da parte dei primi riguardo alla possibilità di vincere, evidenziata dalle poche persone conosciute che si sono arricchiti col gioco. Il distacco percentuale tra i si e i no, in questo caso, è maggiore negli adolescenti maschi.

E la dipendenza?

I ragazzi quattordicenni sono più netti delle loro coetanee rispetto al rischio di dipendenza, mostrando, in questo senso, maggiore consapevolezza. Stranamente, però, alla domanda se “Può diventare una dipendenza patologica” le ragazze rispondono in modo più compatto di si.

La maggior parte sia dei ragazzi che delle ragazze considera il gioco d’azzardo tecnologico al pari di una droga. Del resto le ragazze sembra conoscano persone che hanno avuto guai con il gioco più dei loro coetanei.

La ricerca evidenzia una certa contraddittorietà nelle risposte sia da parte dei ragazzi che delle ragazze. Questo non desta sorpresa per diverse ragioni: la prima è legata all’età del campione. Si tratta di giovani adolescenti che vivono una fase dello sviluppo di per sé ricca di contraddizioni. In secondo luogo è ragionevole pensare che si trovino di fronte al gioco d’azzardo senza un’idea ancora definita dei reali svantaggi – vantaggi. Non è improbabile che vi sia una certa diffidenza verso tale tipo di gioco, non bene interpretata però per via della sua diffusione legale, delle numerose e accattivanti pubblicità e, soprattutto, dell’esempio dato dagli adulti. Quest’ultimo fattore è forse il più importante: durante l’infanzia e l’adolescenza si apprende principalmente quello che viene proposto dagli adulti in termini di comportamento. Il cosiddetto “esempio” ha una valenza istruttiva, come ampiamente dimostrato da diverse ricerche svolte nell’ambito della psicologia dello sviluppo, nettamente superiore a qualunque altra forma di insegnamento.

E gli adulti cosa pensano del gioco d’azzardo tecnologico?

Sul fatto che il gioco d’azzardo faccia perdere dei soldi gli adulti non hanno dubbi. Il grafico è analogo a quello degli adolescenti, il rapporto percentuale tra i si e i no molto simile.

Ma è a questo punto che il pensiero magico entra in campo. Sulla possibilità di diventare ricchi concorda più o meno il 50% del campione. L’adulto sa bene quanto perda rispetto a quello che guadagna, eppure sembra “aver bisogno” di credere che effettivamente il gioco d’azzardo possa essere una strada per arricchirsi. Tutto ciò nonostante l’ammissione, di circa la metà del campione, del fatto che non sia un passatempo molto piacevole e divertente. Di conseguenza sorge la domanda: perché giocare? Forse i meccanismi della dipendenza hanno un loro ruolo specifico, tanto inconsapevole quanto determinante.

L’ipotesi che alla base della percezione adulta vi sia una componente fantastica (con eventuali caratteristiche di dipendenza) viene avvalorata dal fatto che la grande maggioranza degli intervistati risponde di non conoscere persone che si siano arricchite con il gioco. Tale risposta è in evidente contrasto con l’idea che il gioco possa fare diventare ricchi.

La maggior parte degli adulti sa che il gioco d’azzardo può portare sia a una dipendenza che a una dipendenza patologica. Eppure gli adulti appaiono, in questo senso, meno consapevoli degli adolescenti. Sul fatto che si tratti di una droga la percezione trova un equilibrio: la metà del campione pensa di si, l’altra di no. Negli adolescenti (più correttamente) la maggioranza pensava di si.

Anche la percentuale delle persone conosciute che si sono rovinate col gioco sembra essere simile tra coloro che affermano di si e coloro che affermano di no.

Sembra che molti adulti tendano a negare la realtà sugli aspetti più critici del questionario: il gioco è equiparabile alla droga, ci sono persone che si sono rovinate col gioco.

In pratica con l’avanzare dell’età sembrerebbe attenuarsi la percezione del rischio, si mente a sé stessi, ci si affida sempre più alla speranza fantastica di incappare nel mitico “giorno fortunato”.

Quando il gioco si fa duro sul serio: il SOGS (South Oaks Gambling Screen)

Le persone che giocano pensando si tratti del loro giorno fortunato rappresentano oltre un terzo del campione.

Questo non significa che i rimanenti giocatori escludano tale pensiero. Potrebbero, infatti, non formulare idee di questo genere perché divenuti dipendenti dal gioco. Se questa ipotesi fosse valida l’attrazione per il gioco d’azzardo diverrebbe difficilmente controllabile e non più mediata dal punto di vista razionale.

Il grafico che segue rappresenta le sei risposte con maggior prevalenza al test SOGS.


Al primo posto si trova l’idea che sia il momento di giocare perché è il proprio giorno fortunato.

Grazie al test è possibile determinare quante persone rischiano una “dipendenza patologica”, ovvero una condizione dove il controllo dell’impulso nei confronti del gioco è seriamente compromesso. E’ ancora utile ricordare che la dipendenza può venire negata (quasi sempre lo è) dalla persona, in modo più o meno consapevole.

Un secondo elemento da sottolineare è che con l’aumentare delle giocate non può che aumentare la cifra del denaro perso: in altre parole i soldi vinti, salve rarissime eccezioni dovute a una improbabile – come visto – grossa vincita, divengono, più che proporzionalmente, sempre meno rispetto a quelli persi. La ragione di tale aspetto è di natura puramente matematica: essendo le probabilità di perdita enormemente superiori a quelle di vincita l’unico soggetto che accresce il proprio capitale è sempre e solo chi “detiene il banco”, ovvero il concessionario del gioco stesso.

Nella ricerca sono stati individuati ben 20 giocatori su 76 a rischio di "dipenednza patologica", ovvero il 26%.

L'età media delle 20 persone "a rischio" è di 36,5 anni.

Di questi, 5 hanno dichiarato pensieri suicidari.

Le persone che hanno affermato di aver pensato al suicidio quale soluzione ai propri problemi sono due maschi di 18 e 33 anni, due femmine di 30 e 31 anni e un quinto soggetto, che non ha dichiarato il genere, di 47 anni.

Naturalmente dichiarare di pensare al suicidio non equivale necessariamente ad attuare tale proposito. Il dato del 7% però deve fare riflettere. Non sappiamo quanto e in quale misura le persone che hanno espresso questo pensiero compilando il test siano condizionate dal gioco d'azzardo. Sarebbe indispensabile una ricerca con un campione molto più ampio e ulteriori approfondimenti rispetto alla specifica problematica del suicidio laddove riscontrata.

Invece sappiamo che cinque persone su 76 indicano un disagio profondo, se non lacerante, in un contesto dove il gioco d'azzardo svolge un ruolo sicuramente importante almeno per tre di loro, visti gli altissimi punteggi nel test.

 

Dott. Antonello Mosso - Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari (Ca)
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