Girando qua e la su internet emerge a volte, più o meno esplicitamente, un quesito riguardante quale sia l'effettiva professionalità di uno specialista in psicoterapia (psicologo o medico che sia) e se vi sia, realmente, una differenza tra l'aiuto di questi e quello di altre figure, ad esempio un buon amico. In questo articolo espongo il mio punto di vista circa tale differenza.
Premesso che "Chi trova un amico, trova un tesoro"…
Il ruolo dell'esperienza
Tutti noi usiamo la nostra esperienza, e in una certa misura (molto piccola), l'esperienza altrui per valutare le situazioni nelle quali ci troviamo. Quando qualcuno si trova in difficoltà è sempre la nostra esperienza che mettiamo a disposizione per aiutarlo. Tanto più se si tratta di un amico.
Naturalmente l'aiuto offerto risulterà "qualitativamente migliore" tanto maggiore sarà la nostra esperienza, ovvero la conoscenza di come "generalmente" funzionano le cose della vita.
Applichiamo, quindi, ai vissuti altrui, ipotesi, valutazioni, soluzioni che, quasi sempre, andrebbero bene per noi, perché sono frutto della nostra interazione con gli altri in circostanze diverse tra loro.
Tale modo di procedere quasi sempre funziona. L'esperienza di un evento è, infatti, spesso generalizzabile. Si può cioè estendere anche a contesti di vita (quindi relazionali) non esattamente uguali al nostro.
I limiti della nostra personale esperienza
Il nostro metro quasi sempre funziona, ma non sempre.
Le ragioni sono essenzialmente due: la prima riguarda il fatto che situazioni simili possono nascondere differenze apparentemente poco importanti ma in realtà determinanti. La seconda, che la nostra esperienza, anche quando fosse estremamente simile a quella altrui, viene vissuta dall'altro come "estranea". Non per niente si dice "deve arrivarci da solo", "non ascolta gli altri", "se non sbaglia non imparerà mai". Frasi che possono sembrare banali, ma che in realtà racchiudono importanti verità.
L'ultima delle tre, in particolare, "se non sbaglia..." suona quasi come un monito di un destino segnato: chi ha già vissuto una data esperienza, con ogni probabilità, intuisce cosa significherà per un'altra persona l'insuccesso (o il successo) a cui andrà incontro. Cosa che potrebbe determinare un forte coinvolgimento emotivo.
L'importanza di sbagliare
Ma tutti noi "sentiamo" che l'esperienza altrui non coincide, non può coincidere esattamente con la nostra. Perché sappiamo di essere diversi, anche se forse ci riteniamo "più diversi" dagli altri di quanto realmente non siamo. Ma questo lo scopriamo solo dopo, in un secondo momento, magari di fronte al fatidico odiato: "Te l'avevo detto!".
Se quindi, da una parte, abbiamo la necessità di sperimentare in prima persona l'esperienza della vita, da un'altra sembrerebbe non rimanerci che leccarci le ferite quando le cose vanno male.
In realtà un amico che si proponga positivamente non censura l'iniziativa altrui neanche quando dovesse ritenerla sbagliata, proprio perché consapevole dell'importanza di sbagliare, né, ritenendola giusta la promuoverà senza un minimo di critica. Ma questo è molto difficile, proprio perché il coinvolgimento emotivo ci spinge a difendere le persone a cui teniamo dalle delusioni.
Ci si può chiedere, a questo punto, se esista la possibilità di rapportarsi all'altro attingendo da un bagaglio esperienziale diversificato, che non sia necessariamente il proprio e tenendo a bada il proprio coinvolgimento emotivo.
Questo è esattamente quello che fa uno psicoterapeuta. Studia e si forma per condividere una visione maturata dentro di se, ma non di tipo "personalistico", della realtà.
Questo è molto difficile e richiede, tra le altre cose, una ricerca in due direzioni: la prima riguarda l'acquisizione di conoscenze sia teoriche che pratiche (e cliniche) sviluppate dagli studiosi del settore, la seconda invece alcuni aspetti che, in questo articolo, non sono stati ancora toccati.
Ci difendiamo, senza rendercene conto
Gli organismi viventi, l'uomo non fa eccezione, utilizzano inconsapevolmente numerosissimi meccanismi auto riparativi e di protezione. Questo avviene a diversi livelli: molecolare, cellulare, muscolare, ma anche cognitivo, emozionale e relazionale.
Del resto sarebbe insensato non credere che anche la mente debba avere i suoi sistemi di salvaguardia. Un evento vissuto come pericoloso può venire dimenticato, un'emozione troppo forte può portarci alla fuga. Una minaccia fa sempre scattare un allarme al quali reagiamo sia fisicamente che mentalmente, ovvero attuando una risposta psicofisica.
Soprattutto le situazioni cliniche (ansia, attacchi di panico, depressione, fobie, e via dicendo) sono connesse con le difese. Le persone non vogliono mostrarsi tristi, oppure raccontare il proprio disagio interiore. Perché? Forse per difendersi da un giudizio negativo.
Fare i conti con un problema esistenziale, con qualcosa che rende la nostra vita faticosa e difficile ci pone sempre di fronte alle nostre e altrui difese. In questo senso il professionista ha strumenti che l'amico non può avere.
Ma non solo: l'amico, come detto, guarda attraverso lenti speciali: il legame affettivo gioca un ruolo determinante nel bene perché non ci fa sentire soli, un po' meno nel bene perché il coinvolgimento, il senso di protezione e l'identificazione con i problemi altrui può essere uno svantaggio.
Studio, Formazione, Aggiornamento ed Esperienza
Lo psicoterapeuta impara, grazie alla sua formazione, a integrare le "esperienze" dei diversi saperi psicologici con la propria esperienza, facendo i conti con le proprie difese e le proprie emozioni.
Si tratta di un lavoro molto impegnativo, lungo e costoso in tutti i sensi: sia dal punto di vista emotivo che economico, ma è proprio tale tipo di formazione, e la qualità della relazione che ne deriva, che essenzialmente differenzia uno psicoterapeuta da un amico.
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